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Immagine del redattoreGiada Valmonte

In che modo il legame di attaccamento influenza la scelta del/della partner? (parte1)



È stato studiato come la relazione primaria tra la madre, o il caregiver, e il bambino potrebbe rappresentare un modello per le future relazioni d’amore. Le relazioni con le figure genitoriali influenzano e determinano il nostro modello di attaccamento, ossia il modo in cui a livello emotivo, cognitivo e comportamentale tendiamo a vivere tutte le relazioni future, comprese quelle di coppia.

 

Ma perché alcune persone tendono a ricercare sempre lo stesso tipo di partner?
 
Vediamo innanzitutto cosa dice la teoria dell’attaccamento.
 
La teoria dell’attaccamento
 
Bowlby è considerato il padre della teoria dell’attaccamento; fu uno dei primi psicologi del dopoguerra a notare l’importanza che la presenza o l’assenza di una figura di attaccamento nei primi anni di vita ha nello sviluppo della personalità della persona.
I suoi studi forniscono la prova dell’esistenza di una predisposizione innata che i bambini hanno nell’entrare in relazione con una figura di accudimento. Secondo questa teoria infatti, quei comportamenti che i neonati mettono in atto per evitare la separazione da un genitore o quando si ricongiungono con esso, come piangere, urlare e aggrapparsi, fanno parte di una eredità evolutiva a carattere adattivo.
Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba (Bowlby, 1969).  Bowlby ha individuato tre tipi di attaccamento, sulla base della reazione che i bambini hanno in una situazione sconosciuta, sia al momento della separazione dai loro genitori, che al loro ricongiungimento:

1) Attaccamento sicuro: questi neonati mostravano angoscia dopo la separazione, ma cercavano conforto ed erano facilmente confortati quando i genitori tornavano. Quando il bambino aveva paura o aveva un problema e metteva in atto i comportamenti di attaccamento, la madre, o il caregiver, riconosceva immediatamente i suoi segnali e accorreva, era sensibile e responsivo. Sulla base di queste esperienze si sente sicuro e in grado di esplorare l’ambiente circostante, sa che può contare sulla madre, gioca tranquillamente coi coetanei, sperimenta nuove situazioni e si avventura senza essere assalito dall’angoscia. Ha una rappresentazione della madre, o del caregiver, come di qualcuno di cui fidarsi e una rappresentazione di sé come degno di essere amato e confortato. Si aspetterà dagli altri di essere amato e accettato.

2) Attaccamento insicuro-evitante: i bambini non hanno mostrato angoscia alla separazione dai genitori e hanno ignorato i genitori al momento del ricongiungimento o hanno attivamente evitato i genitori (Fraley, 2010). In questo tipo di attaccamento, quando il bambino aveva paura o si faceva del male la madre, o il caregiver, lo rifiutava sistematicamente, magari gli diceva “non devi piangere, sei un ometto e gli uomini non piangono”. Secondo le figure di riferimento il bambino doveva cavarsela da solo oppure a volte ridicolizzavano le sue paure.
La madre, o il caregiver, soddisfaceva i bisogni fisici di nutrizione e igiene, trascurando quelli emotivi. Sprona il bambino verso una precoce autonomia. Il bambino ha capito che non può aspettarsi il conforto dal caregiver e si aspetta di essere rifiutato. Egli congela le proprie emozioni e si distanzia sempre più dal mondo emozionale. Ha una rappresentazione di sé come una persona non degna di essere amata e confortata e si percepisce come inadeguato appena si sente debole e bisognoso di affetto, sa che deve contare solo su di sé. Dalla madre, o dal caregiver, non si aspetta nulla.

3) Attaccamento insicuro-ambivalente: una piccola parte dei bambini ha sperimentato maggiori livelli di angoscia e, dopo essersi riuniti con i genitori, sembravano sia cercare conforto che tentare di “punire” i genitori per essersi allontanati. Tale attaccamento è caratterizzato da una ambivalenza di fondo con il genitore, un sentimento di amore e odio. Quando il bambino emetteva i comportamenti di attaccamento, il caregiver alcune volte accorreva altre volte no. Altre volte la madre, o il caregiver, improvvisamente lo baciava e lo abbracciava. Non potendo prevedere la reazione della madre, o del caregiver, il suo sistema di attaccamento rimaneva come inceppato, segnalando continuamente una situazione di rischio. I comportamenti di attaccamento venivano esasperati, faceva di tutto per tenere la madre il più possibile vicina, esagerando le emozioni negative. Non esplora l’ambiente per la paura di non trovare più la madre.
 
Successivamente Mary Ainsworth (1978) sviluppò un sistema di valutazione degli stili di attaccamento nei bambini, noto come Strange Situation. Una delle varianti della tecnica della Strange Situation consisteva nel mettere la mamma, o il caregiver, e il bambino in una stanza di laboratorio piena di giocattoli. Dopo qualche minuto entrava un estraneo e usciva la mamma. In seguito usciva anche l’estraneo e il bambino restava solo a giocare. Infine rientrava la madre. In questo modo venivano valutate le reazioni del bambino al momento della separazione e al ricongiungimento con la madre, con l’estraneo e il bambino da solo con i giochi. Negli anni successivi, Main e Salomon (1990) hanno aggiunto un quarto stile di attaccamento:

4.       Attaccamento disorientato disorganizzato: si riferisce a quei bambini che non hanno un modello prevedibile di comportamenti di attaccamento (Kennedy & Kennedy, 2004). Tale stile si manifestava durante la procedura della Strange Situation e, non rientrando nei tre tipi di attaccamento precedentemente scoperti, veniva considerato come non classificabile. I bambini con questo stile di attaccamento sembrano confusi, non seguono uno schema di comportamento. Il caregiver è spaventante e si ritrova spesso nei bambini abusati e/o maltrattati.
 
Le varie esperienze che si susseguono all’interno della relazione diadica madre-figlio, gli apprendimenti che ne derivano, il modo in cui la figura di accudimento è più o meno sensibile alle necessità del bambino, costituiscono quelle che Bowlby definisce Modelli Operativi Interni (MOI).
I MOI sono schemi di rappresentazione interna che il soggetto ha di sé, della relazione di sé con gli altri e dell’immagine che ha del mondo.
Tali schemi diventano ben presto inconsapevoli.Questi schemi, che emergono dalle esperienze precoci, diventano dei veri e propri script, mappe cognitive sulla base delle quali ritagliare e definire le proprie reazioni e alla cui luce interpretare il comportamento e le risposte future della madre -o del caregiver.Le previsioni sulle reazioni della madre vengono poi generalizzate ed estese agli altri e, in particolare, a quelle persone con cui da grande instaurerà relazioni affettive. Accade così che lo sviluppo cognitivo moduli quello affettivo e sociale, al punto che saranno proprio questi modelli a contribuire alla formazione della personalità.
La loro capacità anticipatoria degli eventi li porta a influenzare le future relazioni, che tenderanno a ripetersi e a selezionare, attraverso processi di attenzione, percezione e memoria selettiva, le informazioni che confermano l’opinione che si ha di sé stessi e le aspettative che già si possiedono sulle risposte degli altri ai nostri bisogni affettivi. Si presta attenzione e si ricordano solo gli episodi che confermano le proprie aspettative e non quelle che le contraddicono.
Inoltre, tali stili cognitivi tenderanno a perpetuarsi nel futuro. Se, ad esempio, un bambino nel momento in cui tenta l’esplorazione, ha accanto una madre estremamente ansiosa, che manda continuamente messaggi di pericolosità, anche se la situazione non è oggettivamente pericolosa, probabilmente il bambino limiterà la sua esplorazione e temerà qualsiasi cosa non riuscirà a prevederne le conseguenze anche in futuro; oppure, se si crede che gli altri non siano disponibili e siano pronti ad abbandonarci o a ingannarci, si tenderà, probabilmente, ad avvicinarsi ad essi in maniera difensiva, aumentando le probabilità di essere rifiutati. Esse sono delle vere e proprie profezie che si autoavverano. Queste rappresentazioni mentali non sono fisse, anzi sono dinamiche e suscettibili di cambiamento di fronte a nuove realtà e alle altre relazioni di cui gli individui fanno esperienza (Attili, 2004). Indubbiamente le variabili in gioco sono tante, chiarire le complesse relazioni tra temperamento, geni, esperienze sociali e le loro interazioni, resta un campo potenzialmente fertile per la ricerca futura (Fraley, 2013).
 
Se vuoi sapere in modo più specifico come lo stile di attaccamento influenza le tue relazioni future, aspetta il prossimo post!
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